Non traggano in inganno le quotazioni altalenanti sul mercato europeo: il prezzo del gas naturale giovedì è aumentato 51% poi venerdì è sceso del 30%, ma la situazione sulla sicurezza energetica europea ed italiana rimane incerta. Tanto che il premier Mario Draghi ha fatto sapere che il governo sta studiando una soluzione in due tempi, nel caso in cui dovesse verificarsi la peggiore delle variabili, ovvero lo stop dalle forniture russe.
“Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato. Il governo è pronto a intervenire per calmierare ulteriormente il prezzo dell’energia, ove questo fosse necessario”. Il presidente del Consiglio Mario Draghi apre con queste parole alla possibilità di tornare, momentaneamente, al carbone nel caso in cui la Russia chiudesse le forniture di gas dopo l’invasione dell’Ucraina.
Le centrali a carbone in Italia sono sette e, secondo il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) del ministero dello Sviluppo Economico, dovranno essere dismesse o convertite entro la fine del 2025. Se ne contano due in Sardegna e una in Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Puglia. Cinque di queste sono gestite da Enel, una da A2A e una da EP Produzione, costola italiana del gruppo cecoslovacco EPH.