Mentre Trump e Macron discutono cosa fare dell'accordo sul nucleare siglato con l'Iran da Barack Obama nel 2015, Teheran ha deciso di sostituire il dollaro con l'euro come valuta di riferimento nel commercio estero.
L’obiettivo è ridurre la dipendenza dell'industria petrolifera dalla divisa statunitense. Le transazioni in dollari passano attraverso le banche a stelle e strisce, che costituiscono al momento per l’Iran alcuni rischi reali, invece assenti negli scambi in euro. La partita in ballo conta. Secondo l’Opec, Teheran rastrella circa 70 miliardi di dollari l’anno dalle vendite di petrolio.
Continua, così, la de-dollarizzazione del mercato mondiale dell'energia: paesi come Cina, Russia e Venezuela, ai quali occorre ora aggiungere l'Iran, sono già passati dalla teoria alla pratica. Putin ha scelto il suo rublo, Maduro l’euro e Jinping ha lanciato i primi futures sul petrolio cinese in yuan.
L’abbandono del dollaro è in parte spiegato dal fatto che non ci sono restrizioni nelle transazioni commerciali bilaterali nelle valute nazionali. Ciò significa che in tal modo è possibile bypassare i rischi di blocco delle transazioni in dollari.
C’è un però. Per essere considerata una valida alternativa al dollaro nelle transazioni energetiche a livello globale, una valuta deve risultare facilmente convertibile e, soprattutto, godere dello status di moneta di “riserva”. Tra tutti gli aspiranti, la Cina è quella che sembra più vicina all'obiettivo.