La riduzione del deficit pubblico italiano, sceso nel 2019 all’1,6% dal 2,2%, rispetto alle attese appare quasi clamorosa. Da cosa è stato determinato questo crollo?
In parte dalla minor spesa per interessi grazie al sensibile calo dei rendimenti (1 miliardo di risparmi) e dal minor ricorso alla pensione con ‘quota 100’ rispetto alla attese. Ma contemporaneamente è incrementata la spesa in conto capitale (non però degli investimenti fissi lordi).
Dunque, il crollo del disavanzo si spiega principalmente sul lato delle entrate. In particolare, quelle tributarie: quasi 3 miliardi in più di imposte indirette ed oltre 7 di dirette.
Nel caso della prima tipologia, l’incremento del gettito può essere almeno in parte spiegato con l’entrata in vigore della fattura elettronica.
Nella seconda, le imposte dirette, ha invece influito il nuovo meccanismo degli Isa per le partite Iva: ovvero gli indicatori sintetici di affidabilità fiscale che hanno sostituito i precedenti studi di settore.
Sono andate bene anche le ritenute sul lavoro dipendente (ha influito la fine di precedenti regimi di decontribuzione e detassazione).
Come conseguenza, la pressione fiscale (entrate tributarie e contributive in rapporto al Pil) si è portata nel 2019 al 42,4%, mezzo punto al di sopra sia del 2018, sia di quanto previsto.