L’Iran è in ginocchio. L’inflazione su base annuale si aggira intorno al 35%. L’export di greggio si è ridotto di oltre l’80%, sebbene le esportazioni di prodotti petroliferi siano ancora forti, generando 500 milioni di dollari al mese.
Poi le proteste delle scorse settimane, scoppiate a causa dell’aumento fino al 200% del prezzo del carburante, hanno indotto gli Stati Uniti a introdurre nuove sanzioni sulle vendite di petrolio.
La contro-reazione di Teheran è scritta nella finanzaria: ridurre la propria dipendenza dalle esportazioni petrolifere, bersaglio principale di Washington. “Questa è una finanziaria ideata per resistere alle sanzioni, e per essere quanto più possibile indipendenti dal petrolio”, ha dichiarato Rouhani di fronte alle Camere.
La manovra iraniana, che dovrebbe valere 4,845 trilioni di riyal (circa 34 miliardi di euro), prevede ricavi per petrolio, gas e condensati in calo del 40%.
Ma, secondo l’Fmi, l’Iran avrebbe bisogno di un prezzo del petrolio di 194,6 dollari al barile per pareggiare il proprio bilancio nel 2020/2021. Ecco perché Rouhani ha chiesto aiuto a Mosca. Teheran spera in un prestito russo da 5 mld di dollari.