I big del web, tra gli altri Google, Facebook, Amazon, dovranno pagare le tasse nei paesi dove i profitti sono realizzati. Quantomeno nell’UE. Sembra, infatti, crescere il consenso verso l’introduzione della “web tax” in Europa.
Poi è arrivato lo scandalo “Paradise Papers” che ha fatto emergere una rete internazionale di evasione fiscale e che ha rafforzato la necessità di introdurre una nuova normativa in tema di politica fiscale.
I Governi hanno recepito e capito di poter trasformare in voti elettorali un'eventuale stretta fiscale nei confronti dei giganti della Silicon Valley. Per questo motivo i tempi ora sono maturi.
L’Italia ha fatto un passo concreto in questo senso proponendo una “web tax” al 6%. L’idea è contenuta in un emendamento alla Finanziaria del presidente della Commissione Industria, Massimo Mucchetti. La proposta viaggia su due strade: da una parte, prevede una modifica dei criteri che definiscono la “stabile organizzazione” e, dall'altra, introduce un'imposta forfettaria del 6% dei ricavi sulle transazioni digitali.
Ad ogni modo il dato emergente è un altro. La “web tax” potrebbe a sua volta fornire terreno fertile allo sviluppo dell’idea di porre un freno alla pratica messa in atto dalle multinazionali, ovvero di trasferire i profitti in paesi diversi da quelli di produzione del bene e/o servizio sfruttando la localizzazione delle sede legale del marchio.