Pressione fiscale ed evasione fiscale, due temi caldissimi in Italia. Tanto che il governo Conte bis sta costruendo una manovra di bilancio su quei due pilastri: alleggerire le tasse sui lavoratori e contrastare con maggior impegno che in passato chi le tasse non le paga. Ma il tema fiscale è centrale in tutte le democrazie occidentali, ancor di più in tempi di stagnazione e di crescita delle diseguaglianze sociali.
Nuova carne al fuoco, sul braciere americano, l'ha messa all'inizio del settembre scorso un celebre economista, nonché eccellente scacchista, Kenneth Rogoff, dalle pagine web di Project Syndicate. Per il professore di economia di Harvard un sistema fiscale che può tenere tutto in piedi, cioè equità impositiva - con anche obbiettivi redistributivi - e robusto gettito, è un'imposta sui consumi progressiva. Basare l'imposizione fiscale sui consumi rende il sistema più semplice, stabile e privo di scappatoie più o meno legali, di tanti altri sistemi, come per esempio quello basato sulla tassazione dei redditi o dei patrimoni.
Solo che parlare di progressività per una tassazione sui consumi sembra un controsenso. Tutti sanno che l'imposta sui consumi è per sua natura tendenzialmente regressiva, cioè grava, in proporzione, più sui meno abbienti che sui ricchi. Nell'articolo Rogoff non scende nel dettaglio di come questo tipo di tassazione invece possa diventare progressiva ma da alcuni cenni si può intuire che il professore pensi ad aliquote crescenti per volumi crescenti di acquisti e per i beni più costosi (come avviene in Europa).
Molti lettori nei commenti non hanno risparmiato critiche per questa assenza di spiegazione. Poi ci sono obiezioni alla validità generale dell'impostazione. Una è basata sul fatto che gli ultra ricchi hanno scarsa propensione marginale ai consumi e quindi, uno degli obbiettivi della tassa sui consumi progressiva, colpire più i ricchi, verrebbe paradossalmente mancato.