Il grido di allarme per la ricaduta economica del coronavirus coinvolge oltre 100 Paesi poveri e a medio reddito, che già hanno invocato l’aiuto finanziario di Fmi e Banca Mondiale.
Negli ultimi due mesi, i cosiddetti mercati emergenti hanno segnato deflussi di capitale per 100 miliardi di dollari, oltre tre volte in più di quelli registrati nello stesso periodo durante la crisi finanziaria globale del 2008.
Il rischio serio è che il Covid-19, sommato al crollo dei prezzi delle materie prime, vada a impattare in modo inarrestabile sulla loro situazione debitoria. Con la probabilità, quindi, che si scateni una nuova crisi del debito per i Paesi a basso reddito. E non era mai accaduto dalla Grande Depressione che la recessione si abbattesse simultaneamente sia sulle economie avanzate, sia su quelle emergenti.
Così, per la prima volta in 60 anni, l’Asia registrerà una crescita zero. Il Pil dell’America Latina calerà del 5,2%, Medio Oriente e Asia centrale del 2,8%, e Africa subsahariana dell’1,6%. In Messico assisterà a una contrazione del 6,6%. Ma le cose non andranno meglio a Brasile (-5,3%), Russia (-5,5%) e Sud Africa (-5,8%). Invece si salveranno parzialmente, ma senza comunque evitare un saldo negativo (-0,6%), soltanto le 5 Tigri asiatiche (Malaysia, Indonesia, Singapore, Thailandia e Filippine).
Ecco allora che la decisione del G20 di sospendere il servizio del debito dei Paesi più poveri sino a fine anno molto probabilmente non basta. L’Unctad calcola in 2.500 miliardi di dollari le necessità finanziarie per l’assistenza ai Paesi in via di sviluppo (1.000 mld per la cancellazione del debito e 500 mld per i servizi sanitari e sociali, sotto forma di sovvenzioni da parte di paesi ricchi). I dati dell'organismo mostrano che su 117 Paesi in via di sviluppo circa un quinto è molto vulnerabile agli impatti diretti dello shock Covid-19 a causa della combinazione tra deterioramento della sostenibilità del debito e forte esposizione delle loro economie al commercio estero e all’export di materie prime.