I 20 leader del mondo hanno siglato l’accordo per la global tax, la tassa minima globale al 15% per multinazionali, ma scatterà solo nel 2023. E non sarà subito a regime. La tassazione prevede infatti delle esenzioni e scorpori per l’applicazione dell’aliquota del 15%. Secondo i calcoli dell’Osservatorio Eu Tax in teoria l’Unione europea potrebbe aumentare il proprio gettito di oltre 80 miliardi di euro applicando un’imposta minima globale del 15%, un aumento di circa un quarto delle sue entrate. Gli Stati Uniti invece guadagnerebbero circa 57 miliardi di euro all’anno. Tuttavia, le esenzioni concordate in extremis per raggiungere l’accordo con i più renitenti possono ridurre sostanzialmente tali guadagni di entrate. Nell’anno iniziale, riducono le entrate di un’imposta minima del 15% da 83 miliardi di euro a 64 mld.
E quanto ci guadagna l’Italia? Il fisco del nostro paese perde ogni anno la possibilità di tassare oltre 26 miliardi di dollari a causa della concorrenza praticata da alcuni Paesi che si sono per questo guadagnati nel tempo la nomea di ‘paradisi fiscali’, perlopiù europei, non tropicali. Di questi 26 miliardi, infatti, ben 23 vengono distratti verso Stati dell’Ue. Secondo uno studio di Thomas Torslov dell’Università di Copenaghen, Ludvig Wier e di Zucman di Berkeley, l’Italia perde il 15% del proprio gettito fiscale a causa della concorrenza dei paradisi fiscali. Ciò vuol dire che il fisco perde ogni anno un gettito di 850 milioni a favore delle casse di Amsterdam, 2,6 miliardi di entrate nette a favore di quelle del Lussemburgo, mentre 500 mln vanno a foraggiare le entrate del Belgio, e circa 1,5 mld quelle irlandesi.
Con una aliquota al 15% - senza esenzioni che vanno a ridurre la base imponibile del 7,5% per i primi 10 anni - l’Italia guadagnerebbe 3,1 miliardi di euro (il calcolo di basa sui dati fiscali del 2017). Con le esenzioni fiscali, invece, il guadagno fiscale per l’Italia si riduce a 2,3 mld l’anno, per passare a 2,6 mld dopo dieci anni. Meglio di niente, ma la cifra resta molto lontana dagli oltre 8 miliardi annui in caso di una aliquota tutto sommato modesta al 21%, inizialmente proposta dal presidente statunitense Joe Biden.
Nel complesso, la decisione di introdurre una tassa minima globale pare al 15% sembra prefigurare un cambiamento solo formale, in modo che (quasi) nulla cambi davvero. Fino al paradosso che l’adozione di una tale percentuale minima a livello globale rischia, avverte il premio Nobel Joseph Stiglitz, che in realtà diventi quella massima. Un esercizio gattopardesco ben riuscito.