Gli Stati Uniti, si sa, sono ancora la prima economia al mondo, ma è come se avessero costruito un'enorme villa sulla quale i banchieri cinesi e giapponesi detengono l’atto di compravendita.
Dieci economie asiatiche, tutte insieme, hanno in pancia più di 3 trilioni di dollari in titoli del tesoro statunitensi. Corrisponde al 15% del debito pubblico totale degli Usa.
Con il deficit americano destinato a superare i mille miliardi di dollari, che minaccia di far salire il rapporto debito pubblico/Pil ad un livello mai visto dagli anni ‘40, Xi Jinping con i suoi 1,2 trilioni di prestiti a Washington sa di avere un’arma in mano.
Presto la Cina potrebbe ritenere preferibile dirottare le risorse su attività reali piuttosto che investire nel debito pubblico degli Stati Uniti. Per mantenere il potere, infatti, Xi sa di dover generare una crescita del 6,5% all'anno facendo diventare l'economia cinese leader in numerosi settori: aerospaziale, biotecnologico, veicoli elettrici, alta velocità, energie rinnovabili, robotica, software e telecomunicazioni.
Sì, il governo di Pechino non è corretto. Sovvenziona gli attori locali, impedisce alle imprese straniere di competere e contraddice le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio. Ma questo non significa che le scelte di Trump siano condivisibili, tantomeno utili.
Anche perché il presidente degli Stati Uniti fa un gioco pericoloso. Un'ipotesi non dichiarata dietro il taglio delle tasse di dicembre è che Cina, Giappone, Taiwan, India, Singapore e Corea del Sud acquisteranno diligentemente più debito degli Stati Uniti nell'immediato futuro. Questa supposizione ora è diventata incerta, se non improbabile.