Il 20 agosto termina il piano di salvataggio della Grecia. Per fare in modo che l'uscita sia un "successo", il governo ellenico e le istituzioni creditrici - la Commissione europea, la Banca centrale europea, il Meccanismo europeo di stabilità e il Fondo monetario internazionale - hanno raggiunto un accordo su un nuovo pacchetto di riforme.
Ciò significa che verranno compiuti ulteriori passi verso la riforma del sistema fiscale e il processo di privatizzazione. Provvedimenti in tal senso dovranno essere adottati prima del prossimo Eurogruppo, il 21 giugno. E il primo ministro greco si è impegnato ad attuarli in tempo utile.
Intanto, nei giorni scorsi, Alexis Tsipras ha presentato la sua strategia di crescita per i prossimi cinque anni. Il piano insiste sulla necessità di ripristinare la fiducia degli investitori stranieri e la stabilità del settore bancario. Include anche un aumento del salario minimo e la reintroduzione della contrattazione collettiva, abolita lo scorso anno su richiesta dei creditori. Sullo sfondo le elezioni politiche del prossimo anno.
Per il paese, che ha ricevuto 260 miliardi di euro dal 2010 dall'Ue e dall’Fmi, la crescita e il proseguimento di rigide politiche di bilancio sono cruciali per la terza e più difficile parte dell'uscita, che però rischia di complicarsi a causa del mancato accordo sul programma di riduzione del debito. Tra l’Fmi e l’Ue, infatti, restano ancora delle differenze: se ne è discusso il 24 maggio a Bruxelles. In quella sede i ministri europei hanno chiesto all’istituzione di produrre un'analisi sulla sostenibilità del debito, pari a 317 miliardi di euro e corrispondente al 180% del Pil del paese.
Se non si riuscisse a trovare un accordo, l’Fmi non renderebbe disponibili ulteriori fondi. Ancora peggio sarebbe, tuttavia, il segnale inviato ai mercati. Per questo motivo, oltre che per l'insistenza della Germania che non vuole rinunciare al coinvolgimento dell’Fmi, un accordo con l’organizzazione di Washington è stato finora ritenuto necessario per “un’uscita pulita”.