Un osservatore imparziale del vertice di Meseberg tra Angela Merkel e Emmanuel Macron concluderebbe che la zona euro rimane macroeconomicamente insostenibile come lo era cinque anni fa. Passi avanti sono stati fatti, ma troppo piccoli per poter pensare ad un rapido rafforzamento dell’Ue. Dopo un insuccesso, negli stessi giorni è stato, tuttavia, celebrato un successo: la fine della crisi del debito in Grecia.
Ma è proprio così? Facciamo un passo indietro e partiamo da un esempio concreto. Quando le banche cercano di “coprire” i crediti inesigibili spesso superano l’empasse in modo semplice e immediato, concedendo nuovi prestiti al debitore. Quando il nuovo finanziamento è esaurito (e il prestito parzialmente restituito), il cliente è autorizzato a sospendere il rimborso per alcuni anni, accumulando interessi. Ciò consente, in compenso, di mantenere costante il valore attuale netto del proprio bene (il prestito), mentre si rimanda il giorno della resa dei conti, quando la banca sarà costretta a comunicare al proprio ente di controllo che il prestito non è recuperabile.
Ecco, cinicamente, lo stesso meccanismo è stato applicato alla Grecia. Dal punto di vista tecnico, il pilastro centrale del nuovo accordo sul debito è basato sul rinvio decennale della restituzione di 96,6 miliardi di euro. In cambio, il governo ellenico continuerà sul percorso delle riforme indicate da Fmi ed Ue.
Nel frattempo, la Grecia dovrebbe compiere un doppio miracolo: raggiungere un surplus di bilancio del 3,5% fino al 2022 e del 2,2% nel periodo 2023-2060, oltre a rimborsi annuali del debito dal 2033 al 2060 pari a circa il 60% delle entrate fiscali dello Stato. Il che equivale a una lunga schiavitù.