Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, resiste alle critiche e non recede dalla posizione di membro di un opaco gruppo di "lobbisti"
La partecipazione di Draghi al gruppo G30 “non comporta alcun conflitto di interessi ed è pienamente compatibile con l’indipendenza, la reputazione e l’integrità della Bce”, ha provato a difendersi così la Banca stessa il 18 aprile.
Il 70enne banchiere italiano, che lascerà l’istituto di Francoforte il prossimo anno, ha preso parte agli incontri del G30, definiti “dibattiti intellettuali”. Messa così, niente di più innocente. Ma il G30 è un organismo privato con sede a Washington composto da capi di banche centrali, amministratori di banche private e accademici. Si incontra due volte all’anno e nulla trapela in merito ai contenuti discussi. Ufficialmente, l’obiettivo spiegato sul sito web del G30 è “approfondire la comprensione delle questioni economiche e finanziarie internazionali”.
Tra i suoi membri figurano il capo della Banca centrale Britannica, Mark Carney, e il governatore di quella cinese Zhou Xiaochuan, nonché Draghi e i presidenti di istituti bancari statunitensi e svizzeri, come JPMorgan e Ubs. Tuttavia, il suo consiglio di amministrazione è anonimo.
Secondo Corporate Europe Observatory, una ong pro-trasparenza localizzata a Bruxelles, il G30 è un gruppo di lobbisti finanziari che funge da “back door” per Draghi. Nel frattempo l’annosa questione della commistione tra chi scrive le regole e chi è chiamato a rispettarle mette la Banca a rischio di perdere la fiducia che i cittadini europei ripongono nell’istituto di Francoforte. E comunque resta senza risposta la domanda su quale sia l’interesse pubblico della partecipazione al G30 da parte del governatore della Bce.