Ha suscitato sconcerto, tra gli argentini, l’annuncio delle nuove banconote che la Banca centrale a partire dal 23 maggio sta emettendo sul mercato. Il problema è che il peso argentino - a trent’anni dal suo primo conio - non ha praticamente più valore. Negli anni ‘90 con 100 pesos, ovvero l’equivalente di 100 dollari, si potevano comprare 30 chili di roast beef, 200 litri di latte e 100 bottiglie di birra. Oggi, con gli stessi 100 pesos si acquistano solo 120 grammi di roast beef, 1 litro di latte e 1 lattina di birra. Cinque anni fa 1.000 pesos valevano 55 dollari, mentre ora 4,8 dollari al mercato nero e 8,4 dollari al cambio ufficiale.
A questo punto, secondo un rapporto di Goldman Sachs, che risale a dicembre scorso, non c'è altro rimedio che far andare il peso in pensione in quanto il divario del tasso di cambio di circa il 100% preannuncia “una considerevole svalutazione” che porterà il tasso di cambio ufficiale ad almeno 160 pesos per 1 dollaro entro la fine del 2022.
Secondo la currency watchlist pubblicata settimanalmente dall’economista statunitense Steve Hanke (Johns Hopkins University), il peso argentino, con un deprezzamento del 62,16% dall’inizio del 2020, è la sesta valuta più svalutata al mondo rispetto al dollaro Usa, dietro alle valute di Venezuela, Zimbabwe, Libano, Sudan e Siria.
Galoppa intanto l’inflazione, aumentata del 6% ad aprile in un solo mese con un’impennata di oltre il 58% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Questo aumento vertiginoso dei prezzi si aggiunge a quello registrato nel 2021, quando l’inflazione si è attestata al 51,4%, e riflette il continuo deprezzamento del potere di acquisto della moneta argentina.
La sua svalutazione ha raggiunto un livello tale che, al momento, il metallo fuso delle monete vale più della moneta stessa. Su web, altri acquistano monete argentine all’ingrosso, fissando i prezzi al chilo.