Soltanto un lieve deterioramento? A giugno il deficit commerciale della Francia si è ampliato di 200 milioni rispetto al mese precedente, raggiungendo i 6,2 miliardi di euro. In realtà si tratta di un dato che rivela un male profondo: il commercio estero rimane il tallone d'Achille dell'economia transalpina visto che da quattordici anni le importazioni superano le esportazioni.
Nel primo semestre dell'anno il disavanzo della bilancia commerciale ha raggiunto 33,47 miliardi di euro, dopo i 29,6 mld del semestre precedente. In altre parole, il deficit annuale non dovrebbe essere superiore a quello del 2017, quando ha raggiunto i 62,3 mld. Ma non c’è comunque molto da rallegrarsi. La Germania, ad esempio, ha generato un surplus commerciale di oltre 121 mld dall'inizio dell'anno.
Certo, l'aumento del prezzo del petrolio ha pesato sull’import francese. Infatti, la bolletta energetica rappresenta quasi il 60% del deficit della bilancia commerciale. Le difficoltà dell’economia, tuttavia, non sono solo spiegabili dalle fluttuazioni del costo dell’energia.
Il vero problema è, piuttosto, il progressivo indebolimento dell'apparato produttivo francese, che appare restio a innovarsi. E per questo motivo, dal lato delle esportazioni, la Francia si trova in una situazione non ideale: i propri beni sono meno competitivi di quelli provenienti da paesi europei con costi di manodopera inferiori, come la Spagna. Ma sono anche meno sofisticati di quelli “made in Germany”.
È il tessuto industriale ad apparire poco competitivo nel suo complesso: erano solo 124 mila le aziende l'anno scorso ad aver venduto i propri prodotti oltreconfine a fronte delle 300 mila in Germania.
Parigi continua, inoltre, a perdere quote di mercato nel commercio globale. Con due eccezioni: beni di lusso e aeronautica (legata in particolare alla produzione di Airbus), che riscuotono ancora un grande successo. Ma non è certo abbastanza per un paese che vorrebbe proporsi come “guida” dell’Ue, disegnandone futuro e destino.