L’economia cinese è cresciuta del 5,2 per cento l’anno scorso. È uno dei dati annuali più deboli in oltre tre decenni, condizionato dalla crisi immobiliare paralizzante, dai consumi lenti e dalle turbolenze globali. L’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino ha riportato un Pil di 126 trilioni di yuan (17,6 trilioni di dollari). Resta il fatto che si tratta di percentuali ben più elevate di quelle registrate da anni nelle economie occidentali, che nel medio-lungo periodo la crescita economica della Cina è stata impressionante su base trentennale, e che nel 2024 l’economia globale sarà trainata principalmente da Cina e India.
Al contempo, la popolazione cinese è diminuita nel 2023 per il secondo anno consecutivo, a causa di un declino del tasso di natalità dovuto soprattutto al costo dell’istruzione e a cambiamenti sociali. D’altronde, nel 2019 il costo medio dell’istruzione di un bambino in Cina dalla nascita fino ai diciott’anni era di 485mila yuan (circa 62mila euro), secondo l’istituto YuWa population research di Pechino. La cifra supera di quasi sette volte il Pil pro capite, segnando un divario maggiore rispetto a quello degli Stati Uniti (4,11) e dell’Australia (2,08).
In tale contesto, nel 2022, la Cina aveva registrato il primo calo demografico in sei decenni. Nel 2023 (anno in cui il gigante asiatico ha perso più di due milioni di abitanti su una popolazione di poco più di 1,4 miliardi) aveva invece perso il titolo di paese più popoloso del mondo a favore dell’India, secondo le Nazioni Unite.
Consapevole del problema da anni, il governo ha allentato la sua tradizionale politica di limitazione delle nascite, permettendo a tutte le coppie di avere tre figli e offrendo maggiori aiuti pubblici, che però sono ancora insufficienti. Ma finora non è riuscito a invertire la tendenza. Il numero dei lavoratori continua a diminuire, mentre aumenta quello dei pensionati, con conseguenze negative per il bilancio pubblico.
