L’Ecuador dovrà ancora attendere per conoscere il nome del suo nuovo presidente. Luisa González, 45 anni, fedelissima dell’ex presidente progressista Rafael Correa, e Daniel Noboa, 35 anni, figlio di uno degli imprenditori più ricchi del Paese, si sfideranno al secondo turno il 15 ottobre.
Il risultato è emerso al termine di una giornata elettorale tesa, dominata dalla paura per la violenza dei narcos, in un Paese (che conta circa 13 milioni di abitanti) ancora sotto shock per l’omicidio del candidato centrista Fernando Villavicencio e devastato dall’escalation di violenza (nel 2021 il tasso di omicidi era pari a 13 ogni 100mila abitanti, e quest’anno pare schizzato a quota 40), dal narcotraffico e dalla povertà diffusa. Un Paese che con una notevole affluenza alle urne - oltre l’82 per cento - ha voluto comunque dare un segnale.
Gonzalez, avvocatessa, animalista, contraria all’aborto anche nei casi di stupro, è decisa ad integrare nel suo esecutivo Correa (accusato di corruzione e attualmente in esilio in Belgio). Ha guidato i risultati con oltre il 30 per cento, senza tuttavia raggiungere la soglia necessaria per portarsi a casa una vittoria al primo turno. La candidata del movimento Revolucion Ciudadana ha assicurato che la priorità del suo eventuale governo sarà combattere le “gravissime infiltrazioni del narcotraffico”. E – a Reuters – ha spiegato che in caso di elezione utilizzerà 2,5 miliardi di dollari “per tamponare le emergenze sociali”, fondi che attingerà dalle riserve della Banca centrale.
A contenderle la presidenza è Daniel Noboa, che ha ottenuto il 24 per cento dei voti. Il figlio del magnate delle banane Álvaro Noboa è riuscito ad imporsi un po’ a sorpresa.
Il vincitore si troverà a gestire uno Stato, l’Ecuador, diventato l’hub della distribuzione latinoamericana di droga. Il Paese si è ritagliato un ruolo importante nella geopolitica della droga, proprio perché confina con Perù e Colombia, grandi produttori. Le regioni della Colombia di Nariño e Putumayo sono quelle che producono la maggior quantità di cocaina della Colombia e confinano proprio con l’Ecuador.
A ciò si aggiunga che la lotta al narcotraffico, attuata in Colombia, ha ottenuto modesti risultati, e la delocalizzazione del business (per le fasi di lavorazione, trasformazione, vendita e spedizione del prodotto) è un fatto acclarato.