Monsieur Macron, che vorrebbe essere Napoleone ma che rischia di fare la fine di Luigi XVI. I due personaggi storici, debitamente fotoshoppati con il volto del presidente della repubblica francese, campeggiano in tutte le recenti manifestazioni di protesta contro le leggi sul lavoro proposte dall'Eliseo.
Leggi che ammiccano a imprenditori, azionisti e investitori stranieri - con il plauso d'oltreoceano per esempio di Amazon e Facebook - ma che irritano i lavoratori. Norme approvate a tambur battente dalle legioni dei parlamentari di En Marche la formazione politica quasi personale di Macron, il quale però "vanta" di aver avuto 50 incontri con i rappresentanti dei lavoratori per illustrare e concordare le leggi.
Fatto sta che le nuove norme agevolano la vita solo delle imprese, facilitando assunzioni e licenziamenti. La Cgt, La Confederazione generale del Lavoro, la più barricadera delle grandi sigle sindacali, ha scatenato la lotta contro questo tentativo di modificare le regole sul lavoro e sulle relazioni industriali.
Lo scontro più aspro si è avuto nel tentativo del governo di metter mano ai due colossi semi-pubblici dei trasporti, Air France e la società dei treni, la Sncf. E per ora Macron ha dovuto registrare sconfitte.
Decine di giornate di sciopero sono costate al vettore nazionale (unito a Klm) 300 milioni di euro di mancato incasso e le dimissioni improvvise, il 4 maggio, del ceo, Jean-Marc Janaillac: il suo piano di un aumento dei salari del 7% nell'arco di 4 anni è stato bocciato dai dipendenti che chiedevano un aumento del 5% subito.
Macron, tuttavia, non si arrende e mostra, tramite il ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, il volto feroce: "Se Air France non diventa competitiva al livello di Lufthansa e le altre grandi compagnie internazionali, lo Stato non interverrà in caso di difficoltà".