La morte del diciassettenne di origini algerine Nahel M. causata da un agente di polizia a Nanterre, periferia Nord-Ovest di Parigi, ha innescato una spirale di guerriglia urbana che va avanti da giorni. La polizia ha inizialmente riferito che l’agente avrebbe sparato all’adolescente per legittima difesa, versione poi smentita dal video di un passante.
Da tempo la polizia è in realtà finita nel mirino. In particolare a partire dal 2010, la violenza esercitata dalle forze dell’ordine francesi è sensibilmente aumentata come dimostrano i numeri, raggiungendo il picco nel 2021, quando 52 persone hanno perso la vita a causa di un intervento della polizia. Le vittime sono spesso di origine magrebina e di status socioeconomico precario.
La morte di Nahel riporta così in superficie le condizioni di semi-segregazione in cui versano molte delle comunità nordafricane e arabe di Francia, che lo Stato non è mai pienamente riuscito a integrare nel tessuto urbano e sociale.
Le sommosse di queste ore vanno quindi inquadrate nella tensione irrisolta tra lo Stato centrale francese e le sue periferie, tanto geografiche quanto sociali ed etniche. La giovane età media degli arresti durante i disordini (14-18 anni) di questi giorni evidenzia peraltro che il fenomeno si sta riproducendo nelle nuove generazioni.
Per molti versi è la stessa centralizzazione dello Stato francese, che svuota la funzione dei corpi intermedi come i partiti, a generare tale spaccatura. Spesso è proprio la polizia il soggetto istituzionale che si trova a dover colmare questo vuoto di mediazione. Con scarsi risultati.
Anche per questo la violenza delle forze dell’ordine francesi non ha eguali in Europa, tanto che negli ultimi anni il paese è stato condannato cinque volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché richiamato a più riprese dalle Nazioni Unite.