Theresa May ha ribadito alla Camera dei Comuni l'intenzione di non voler convocare subito un voto sull’accordo per la Brexit. "Torneremo a discuterne il 7 gennaio e lo voteremo la settimana successiva", ha detto la premier. Poi ha cercato di tranquillizzare l’Aula: "L'Ue mi ha assicurato che il backstop non sarà mai attivato".
La scorsa settimana, la premier aveva annullato il voto della Camera sull'accordo raggiunto con l’Ue, di fronte alla certezza della sua bocciatura, e poi respinto la mozione di sfiducia, oltre ad aver incassato l'indisponibilità da parte dell'Ue a rinegoziare l'accordo.
Ieri, lunedì 17 dicembre, è sorto un altro problema. Il leader del Labour, Jeremy Corbyn, ha presentato una mozione di sfiducia contro la premier alla fine del dibattito alla Camera dei Comuni. La mozione non è contro il Governo, ma solo contro May e non sarà pertanto vincolante. Ma avrà comunque un forte valore politico. "Rimandare il voto sull'intesa Brexit a gennaio è inaccettabile", ha detto Corbyn.
Intanto l’Agenzia Fitch avverte: “Senza un accordo fra Londra e Bruxelles l’economia andrebbe in recessione e quasi certamente taglieremo di nuovo il rating della Gran Bretagna il prossimo anno”, ha spiegato l'analista James McCormack a Reuters. Fitch mantiene, quindi, una prospettiva negativa sul rating britannico, dopo averlo tagliato ad AA da AA+ in seguito al voto a favore del divorzio dall'Ue nel 2016.
Un anno dopo, a marzo 2017, è stato commesso probabilmente l'errore fatale di May: ha attivato la procedura di uscita dall'Ue senza avere la benché minima idea su quale potessero essere i rapporti futuri con l'Ue. Non aveva un progetto in testa. E non ha mai spiegato ai britannici i reali possibili effetti sull'economia.
Theresa May è ora in una situazione di stallo. Il rinvio a gennaio non cambierà l’altissima probabilità che il suo accordo sia bocciato. Così, dopo aver perso nel 2017 le elezioni che lei stessa aveva imprudentemente voluto, è ora un primo ministro “sospeso”. La sua tenacia e resilienza non saranno sufficienti a ridarle vigore politico.
Su questo terreno, vista l’incapacità di May nel riuscire a convincere il suo partito, tantomeno il Parlamento, si sta innestando l’idea che un secondo referendum possa risolvere l’empasse istituzionale. E sarebbe giustificato dal fatto che le promesse fatte ai cittadini britannici sull’uscita del Regno Unito dall’Ue non si sono realizzate e, soprattutto, non è mai stato spiegato l’effetto che la Brexit avrebbe avuto sull’economia. I favorevoli al ritorno alle urne incassano anche il sostegno dell’ex premier Tony Blair, che ha detto di ammirare la determinazione di May nel voler far passare l'accordo, ma dopo 30 mesi di negoziati, con il Governo "nel caos", promuovere un secondo referendum, ridando la parola al popolo, sarebbe "logico" qualore tutte le altre opzioni dovessero fallire.