Pannelli solari e turbine eoliche producono energia pulita da fonti inesauribili, ma hanno anche bisogno di risorse non rinnovabili e scarse: tra queste, la sabbia. Per produrre, ad esempio, i vetri dei moduli fotovoltaici occorre della sabbia silicea. E non una qualunque: serve con una purezza, cioè una concentrazione di silice, superiore al 99,9 per cento.
Il punto è che di sabbia del genere non ce n’è tanta nel mondo. Infatti, la sabbia non è tutta uguale. Quella del deserto non va bene per l’edilizia, perché i granelli di cui è composta sono troppo lisci e tondi per legarsi nel calcestruzzo. La sabbia utile è quella che proviene dalle spiagge, dalle cave, dagli alvei dei fiumi e dai fondali marini, erosa non dal vento ma dall’acqua.
Ogni anno nel mondo si estraggono circa 50 miliardi di tonnellate di sabbia. Di questa, meno dell’1 per cento è adatta a produrre il vetro convenzionale e una frazione ancora più piccola è sufficientemente pura per i pannelli solari. L’espansione internazionale delle fonti rinnovabili, stimolata dalla transizione ecologica, farà crescere la domanda di sabbia e, di conseguenza, i rischi del sovra-sfruttamento della seconda risorsa naturale (dopo l’acqua) più utilizzata del pianeta.
Già nel 2022 le Nazioni Unite segnalavano la possibilità di una “crisi della sabbia” dovuta a un ritmo di consumo troppo veloce rispetto ai tempi di ricarica in un contesto in cui la civiltà umana si regge sulla sabbia. È la materia prima dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione. È contenuta negli edifici, nelle strade, nei ponti, nei vetri delle finestre, nei parabrezza delle auto, negli schermi dei computer e degli smartphone, oltre che nei microchip di silicio. E a farla da padrone è la Cina, che è il primo consumatore e importatore di sabbia al mondo.