L’idrogeno, come vettore energetico, è sulla cresta dell’onda da mesi in un mare a più colori: verde se ricavato da rinnovabili, blu se prodotto da gas con sequestro della CO2, o grigio se ottenuto direttamente da reforming del metano con emissioni in atmosfera.
Ma tra il verde e gli altri colori c’è di mezzo la richiesta chiave dell’Ipcc di lasciar da subito sottoterra i fossili, pur di raggiungere nel 2050 la neutralità climatica. “Tra bombe d’acqua, maree e incendi, la faticosa discussione su come allocare i fondi europei per la riconversione verde ha fatto sì che si sfocassero sullo sfondo i dinosauri attivi nelle multinazionali e nei governi, che si contendono senza perdere tempo la gestione dei grandi giacimenti di gas scoperti ai bordi del Mediterraneo”, scrivono Angelo Consoli e Mario Agostinelli su sbilanciamoci.info.
L’8 luglio scorso la Commissione europea ha pubblicato la strategia per l’idrogeno, complementare a quella industriale proposta nei mesi scorsi, come parte del pacchetto di misure per il Green Deal Europeo, con l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050.
“In essa si afferma senza ambiguità che la priorità viene data all’idrogeno verde (ossia quello prodotto unicamente da fonti rinnovabili) – aggiungono Consoli e Agostinelli - mentre l’idrogeno da fonti fossili viene scartato, salvo che si tratti di idrogeno blu (ossia ottenuto dal gas naturale fossile senza emissioni di CO2, catturate e sequestrate con un processo detto Ccs, che dovrebbe impedirne il rilascio in atmosfera).”
L’escamotage del Ccs farebbe da foglia di fico alle imprese fossili nel breve e medio termine, in virtù di una sua convenienza economica (mai dimostrata) rispetto all’idrogeno verde. “Nei fatti, si tratta semplicemente di una goffaggine maldestra per far guadagnare tempo alle corporation del gas”, attaccano. Consoli e Agostinelli.
In effetti, “nella versione iniziale la Commissione si limitava a menzionare, senza assegnargli alcun ruolo significativo, l’idrogeno blu – spiegano -. Senonché, il 24 giugno seguente, Gasnaturally, la lobby di una coalizione di imprese del fossile tra le quali Eni rivendicava l’adozione di una strategia per l’idrogeno che seguisse una impostazione ‘technology-neutral’, di modo che sia l’idrogeno da fonti rinnovabili che quello ottenuto dal gas con la Ccs potessero essere considerati ‘idrogeno pulito’.”
E così, il documento ufficiale dell’8 luglio cambia rispetto al “draft” e assegna un ruolo (“ingiustificabile”, evidenziano Consoli e Agostinelli) all’idrogeno blu, riconoscendolo “necessario” nel breve e medio termine “allo scopo di ridurre più rapidamente le emissioni rispetto ai sistemi attuali di produzione di idrogeno dalle fonti fossili e favorire così la penetrazione di idrogeno rinnovabile sia attualmente che in futuro”.