Nove paradisi fiscali attraggono ogni anno il 42% degli investimenti diretti esteri globali (Ide) e oltre il 40% dei profitti realizzati dalle multinazionali, con un profit shifting di circa 741 miliardi l’anno sottratti alle altre economie. I paesi coinvolti sono Olanda, Lussemburgo, Hong Kong, Svizzera, Singapore, Irlanda, Bermuda, Isole Vergini Britanniche e Isole Cayman: tutti insieme generano solo il 3,2% del Pil mondiale.
Per l’Italia questo dumping fiscale si traduce in una perdita di gettito attorno ai 6,4 mld annui, su 27 mld di profitti registrati in dollari statunitensi. La Germania perde il 26% del gettito della tassazione sugli utili d’impresa, la Francia il 22, l’Italia il 15. I dati sono stati rilanciati dalla 31° edizione del Workshop Finanza 2020 organizzato da The European House-Ambrosetti.
Gli investimenti esteri sono effettuati tramite Special purpose entities (Spes), società finanziarie con scarsa, o addirittura nulla attività economica diretta (produzione, dipendenti, eccetera) nel Paese di insediamento. Fra il 2005 e il 2019 il 75,8% degli Ide in entrata nei Paesi Bassi era costituito da investimenti fantasma. In Lussemburgo il dato è ancora più sbilanciato: il 93,9% degli Ide era costituito da investimenti della stessa natura fittizia.
Negli ultimi tre anni la normativa europea, anche su input del Beps project varato dall’Ocse, ha iniziato a muoversi per contrastare queste situazioni di sleale concorrenza fiscale. Ma molta strada resta ancora da fare.