Il 20 agosto 2018 è una data storica per la Grecia. Si conclude oggi il terzo pacchetto di aiuti della cosiddetta “troika”. Il trio, che include Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale, ha prestato 273,3 miliardi di euro a partire dal primo programma di bailout varato il 2 maggio 2010.
D’ora in poi, il paese sarà – o dovrebbe essere - nuovamente in grado di attingere finanziamenti sui mercati internazionali dei capitali in modo autonomo. Ma quello che è stato uno dei momenti più drammatici della storia europea - la crisi del debito ellenico - giunge ora a una fine incerta, dopo aver portato l'euro sull'orlo del collasso, diviso l'Unione europea e trasformato la Grecia.
ll paese è stato sottoposto ad una massiccia cura dimagrante in questi anni basata su riduzione dei salari e aumento delle tasse. Fino all'ultimo atto: la fine del programma decisa lo scorso 21 giugno, quando una nuova intesa ha stabilito che la Grecia può posticipare di 10 anni il pagamento dei 110 miliardi di euro di prestiti ricevuti dal “vecchio” fondo salva-Stati Efsf. In cambio, il governo ellenico continuerà sul percorso delle riforme indicate da Fmi ed Ue. Per il direttore del Fondo, Christine Lagarde, le misure concordate consentono al debito greco di restare sostenibile nel medio termine.
Quello che, invece, preoccupa di più l'organizzazione con sede a Washington è il lungo periodo. In effetti, Atene dovrebbe compiere un doppio miracolo (come sostiene Yanis Varoufakis): raggiungere un surplus di bilancio del 3,5% fino al 2022 e del 2,2% nel periodo 2023-2060, oltre a rimborsi annuali del debito dal 2033 al 2060 pari a circa il 60% delle entrate fiscali dello Stato. Sarebbe un compito difficile per un paese in forte crescita. Agli occhi dei greci, e non solo, sembra impossibile.
Anche perché è stato trascurato un aspetto dirimente: solo un paese con una robusta crescita sarà in grado di rimborsare tali debiti. La Grecia ha perso circa 1/4 del Pil tra il 2008 e il 2018, una delle recessioni più profonde della storia moderna. Il turismo è più forte che mai e l'economia greca potrebbe crescere al ritmo annuo del 4 o 5%. Ma non è quello che sta accadendo: nel 2017 il Pil è stato dell'1,4% e il governo si aspetta il 2% per il 2018. Non è granché.
Atene non sta soltanto crescendo poco, ma si sta anche restringendo: 550 mila persone sono emigrate dall'inizio della crisi, facendo a scendere il paese ha circa 10.7 milioni di abitanti. Secondo le previsioni, la popolazione sarà compresa tra 8,3 e 10 milioni entro il 2050. Oggi, il 21% dei greci ha più di 65 anni. Nel 2050 saranno circa 1/3 della popolazione. Il tasso di natalità è pari a 1,4 bambini per donna, uno dei più bassi nell'Ue. Il che ci fa tornare alla crescita economica: senza Pil, i greci non torneranno a fare bambini.
Non soprende che il mercato del lavoro sia fermo. Era tra i più regolamentati nell’Ue prima della crisi e, dopo brutali riforme, è ora uno dei meno regolamentati. L’effetto è stato solo quello di una lieve riduzione del tasso di disoccupazione. D’altronde, non si crea lavoro modificando le regole del mercato del lavoro, ma attraverso crescita e sviluppo.
Ma i greci possono forse avere una speranza: è Olga Gerovasili, 57 anni, ministro delle Riforme. Si è messa in testa di voler trasformare la Grecia. Vuole abolire il clientelismo, il principio funzionale della società, le cui radici risalgono all'era ottomana e sono arrivate fino ad oggi.
Per Gerovasili e il governo l’impresa sarebbe, tuttavia, meno ardua se il debito fosse rinegoziato, riducendone il valore nominale. Invece, Tsipras ha portato il paese fuori dalla crisi, ma ora è più indebitato di prima.