Se ne parla ai piani alti della sede del Fondo Monetario Internazionale a Washington, così come poco distante nella stessa città, nelle stanze decisionali della Federal Reserve o all'ultimo piano dell'Eurotower Bce a Francoforte. È il piano d'azione delle banche centrali da impiegare come “arma fine di mondo” contro una serie di pericoli finanziari: le crisi bancarie, il credit crunch, cioè la stretta sul credito, la difficoltà delle transazioni e, infine, contro i rischi delle criptovalute.
L'idea è quella di aprire a tutti un sistema finora chiusissimo: quello delle transazioni tra banche centrali e quelle commerciali, che si svolge con i CBDC, central bank digital currencies.
Una metodologia basata, dunque, su una moneta digitale che viene negata, non solo agli individui, ma anche ad altri istituti finanziari che non siano banche commerciali (con depositi dei privati, cioè). L'idea, appunto di cui si comincia a discutere, è quella di trasferire a tutti, operatori e semplici cittadini, un meccanismo ipersicuro e che faciliterebbe gli scambi e che, finalmente, metterebbe a contatto l'iperuranio delle banche centrali con l'economia vera, reale.
Parafrasando la terminologia intercettata durante le indagini su mafia capitale, è un po' come se “il mondo di sopra” scendesse di livello per purificare il nebuloso “mondo di mezzo” e anche l'esplicitamente criminale “mondo di sotto”. Tra i tanti effetti positivi della diffusione della moneta digitale usata dalle banche centrali ci sarebbe infatti la sostituzione totale delle attuali criptovalute, che non avrebbero più ragion d'essere. O meglio ne rimarrebbe una sola: l'anonimato. Che però ormai non è più tale: una traccia elettronica è ineludibile. Forse è questa scomoda (per chi ha qualcosa da nascondere) verità a spiegare il crollo del Bitcoin. Ora vale intorno a 4500 dollari, a inizio anno ne valeva 16000. E nell'ultima settimana ha perso oltre il 22%.