Nella riunione Opec, allargata a 11 paesi non membri, dello scorso 22 giugno si era deciso di aumentare la produzione di petrolio. A quel punto in molti hanno creduto che il prezzo sarebbe sceso. Ma così non è stato e ancora sfiora gli 80 dollari al barile.
Innanzitutto per i timori collegati all’instabilità di Iran e Venezuela. Gli acquisti europei di greggio iraniano sono scesi del 50%, ma la quota più rilevante è diretta da Teheran verso Cina e India. A ciò si aggiunga che il secondo e terzo consumatore globale di petrolio, nonché i due paesi più popolosi al mondo, sono acquirenti anche dell'oro nero venezuelano. Ciò rende più incerto lo scenario macroeconomico per Pechino e New Delhi. E nessun aiuto potrà venire dalla prima economia sudamericana, il Brasile, i cui dati sulla produzione di oro nero sono inferiori alle attese.
Considerando che l’economia globale, ad eccezione degli Usa, mostra una flessione, il petrolio a 80 dollari non potrà che accentuare il rallentamento del Pil. E il prezzo del greggio non calerà nel brevissimo periodo, quantomeno non prima dell’autunno.